Autrice: Francesca Mannino
Per potersi avvalere di un personale altamente competente e specializzato, è sicuramente fondamentale ricercare nello stesso le cosiddette “hard skills”, ma se si vogliono scovare i migliori talenti, migliorando anche grazie a loro l’operatività e l’efficienza dell’azienda, le “competenze trasversali” dei dipendenti potrebbero rivelarsi strategiche ed è per questo che non vanno sottovalutate. In questo articolo ripercorreremo l’evoluzione del loro “peso” nella scelta del personale da assumere e ne ribadiremo l’attuale importanza.
Le soft skills principali per il lavoro
A parlare per la prima volta di “soft skills” – con il nome di “life skills” – è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con un documento pubblicato nel 1993.
Secondo l’OMS, queste competenze – essenziali per lavoro, relazioni e benessere individuale – erano 10:
- CAPACITÀ DI PRENDERE DECISIONI (decision making): ovvero la competenza che aiuta ad affrontare in maniera costruttiva le decisioni nei vari momenti della vita. Quest’ultima permette di elaborare attivamente il processo decisionale, valutando le diverse opzioni e le conseguenze delle scelte possibili.
- CAPACITA’ DI RISOLVERE PROBLEMI (problem solving): è un approccio al lavoro che consiste nel riuscire a fornire la migliore risposta possibile a una determinata situazione critica e solitamente nuova.
- PENSIERO CREATIVO: agisce in modo combinato rispetto alle prime due competenze citate, rendendo possibile esplorare le alternative e le conseguenze che derivano dal fare e dal non fare determinate azioni.
- PENSIERO CRITICO: ovvero l’abilità di analizzare le informazioni e le esperienze in maniera obiettiva.
- COMUNICAZIONE EFFICACE: cioè sapersi esprimere sia sul piano verbale che su quello non verbale, con una modalità appropriata rispetto alle situazioni e alla cultura. Questo significa essere in grado di manifestare opinioni e desideri, bisogni e paure, essere capaci in caso di necessità di chiedere consiglio o aiuto.
- CAPACITÀ DI COSTRUIRE RELAZIONI INTERPERSONALI: cioè mettersi in relazione e interagire con gli altri in maniera positiva, riuscire a creare e mantenere relazioni amichevoli che possano avere forte rilievo sul benessere mentale e sociale. Può anche voler dire essere capaci, se opportuno, di porre fine alle relazioni in maniera costruttiva.
- AUTOCONSAPEVOLEZZA: ha a che fare con il riconoscimento di sé, del proprio carattere, delle proprie forze e debolezze, desideri e insofferenze. Può essere utile a capire quando si è particolarmente stressati o sotto pressione ed è il prerequisito per instaurare relazioni interpersonali e sviluppare empatia verso gli altri.
- EMPATIA: è la capacità di immaginare come possa essere la vita per un’altra persona, anche in situazioni con cui non si ha familiarità. Questo può migliorare le interazioni sociali, ad esempio nel caso di differenze culturali o etniche.
- GESTIONE DELLE EMOZIONI: implica il riconoscimento delle proprie emozioni e di quelle altrui, la consapevolezza di quanto queste condizionino il comportamento e la capacità di rispondere alle stesse in maniera adeguata.
- GESTIONE DELLO STRESS: consiste nel saper riconoscere le fonti di stress nella vita quotidiana e agire in modo da controllarne e limitarne gli effetti.
Da allora, questo elenco è divenuto sempre più lungo, assumendo specificità in base al contesto (aziendale, accademico, pubblico, privato) e alla teoria di riferimento (psicologica, sociologica, pedagogica).
Come si individuano le soft skills
Non esistono certificazioni formali che attestino l’effettivo conseguimento di questa o quella soft skill: nella loro acquisizione e sviluppo entrano in gioco l’impegno personale, la capacità di autovalutarsi e comprendere quali comportamenti inficino l’efficacia di ciò che si fa. La buona notizia è che dall’analisi dei dati sembra che sul fronte della prevedibilità ci siano dei dati rassicuranti: molte ricerche mostrano come siano proprio gli studi umanistici a stimolare e rafforzare le abilità trasversali. La selezione del personale, inaspettatamente per molti, dovrebbe prestare di conseguenza sempre maggiore attenzione anche a quelle in tutti i settori professionali, compresi quelli tecnici.
- Affidarsi solamente alla ricerca delle competenze specifiche per la posizione nei ruoli tecnici crea infatti una sorta di effetto boomerang che in altri settori è meno evidente: il tecnico stratifica le proprie competenze spesso nella direzione di un irrigidimento sulle proprie convinzioni generando in questo modo un effetto moltiplicatore per il quale maggiore è l’esperienza maturata, minore è la malleabilità del candidato. Questa inversione proporzionale fa sì che se si sceglie il candidato solo per la sua esperienza, senza dare peso a soft skills quali la capacità di adattarsi all’ambiente, la trainability, la capacità di analizzare oggettivamente le cose, ci si potrà facilmente ritrovare ad aver inserito una risorsa molto esperta e, spesso, molto costosa, ma con scarsa capacità di adattarsi al nuovo ambiente di lavoro, a processi e procedure differenti, a dinamiche relazionali che cambiano nel tempo. Il risultato è di facile previsione e quasi mai rappresenta la soluzione ottimale
Hard skills vs Soft Skills: la lezione di Google
“Project Oxygen” – una ricerca svolta da Google nel 2009 – volta ad analizzare tutti i dati su assunzioni, promozioni e licenziamenti accumulati dalla sua fondazione, nel 1998, segnò un cambio di rotta nella percezione delle “soft skills”.
Se fino ad allora la cultura aziendale di ambienti informatici come questo, aveva mostrato un certo scetticismo verso competenze che non rientrassero nelle cosiddette “STEM” (Science, Technology, Engineering and Mathematics”), grazie ai dati emersi da questa ricerca, Google fu costretta a ricredersi.
I dati mostravano, infatti, come delle 8 qualità più importanti dei migliori dipendenti dell’azienda, le prime 7 fossero tutte “soft skills” quali “provare empatia verso le/i colleghe/i, avere doti di pensiero critico, saper risolvere problemi, creare collegamenti tra idee complesse, avere buone capacità di coaching”, e solo all’ultimo posto figuravano le competenze informatiche.
Da allora, Google cambiò i suoi protocolli di assunzione e algoritmi e pratiche cominciarono ad aprirsi (e a favorire rispetto al passato) laureati e laureate in materie umanistiche.
Questo cambio di rotta, sul lungo termine, si è riflettuto sul modus operandi di moltissime aziende e negli ultimi dieci anni sono sempre più i recruiter che mostrano attenzione verso queste abilità socio-emotive.
La difficoltà maggiore per le aziende che pur riconoscono l’importanza strategica dell’avere in azienda personale con soft skill sviluppate è e rimane quella di saperle individuare, valutare e utilizzarle in maniera corretta all’interno dei parametri di scelta del candidato giusto, così come saperle individuare e valorizzare all’interno della squadra già presente in azienda.
E tu? Quanto tieni conto delle “Soft Skills” nella valutazione e selezione del tuo personale? E soprattutto: che metodo utilizzi per individuarle e valutarle?
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