di Pierluigi della Ragione
Italo Calvino, in un articolo del 1981 intitolato “Perché leggere i classici”, aveva fornito alcune definizioni dei classici semplici e belle: “D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima”; “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”; “I classici sono libri che quanto più si crede di conoscere per sentito dire, tanto più – quando si leggono davvero – si trovano nuovi, inaspettati, insoliti.”
Nel panorama della letteratura manageriale, i libri di Dale Carnegie rappresentano dei veri e propri “classici”, che non è mai troppo tardi leggere… e non ci si stanca mai di rileggere. La freschezza della prosa, la ricchezza degli esempi e la vita stessa traboccante di cui sono intessuti conquistano il lettore fin dall’inizio, accompagnandolo in diversi percorsi davvero interessanti, coinvolgenti.
Per alcuni lettori europei, inoltre, le numerose citazioni di personaggi americani a lui poco noti, potrebbero rivelarsi terapeutiche contro gli eccessi di eurocentrismo.
Il suo libro più famoso è “Come trattare gli altri e farseli amici”: con più di trenta milioni di copie vendute, figura tra i primi trenta libri più venduti al mondo.
Di recente mi è capitato fra le mani “Come vincere lo stress e cominciare a vivere” e desidero – in questo breve articolo – condividere alcuni suggerimenti dell’autore su come superare l’ansia e i problemi ad essa connessi. Li troviamo nel primo capitolo della seconda parte del testo. Per Dale Carnegie bisogna affrontare qualsiasi tipo di ansia imparando le tre fasi fondamentali per analizzare un problema:
- Stabilire i fatti.
- Analizzare i fatti.
- Giungere a una decisione, e poi operare di conseguenza.
Perché è così importante stabilire i fatti? Carnegie cita qui Herbert E. Hawkes, che per ben ventidue anni fu decano del Columbia College della Columbia University. Questi gli disse un giorno che “il non aver chiaro il quadro della situazione è la causa principale dell’ansia”. Secondo il professor Hawkes, “se una persona dedica il proprio tempo a rilevare i fatti in modo imparziale e obiettivo, l’ansia di solito si volatilizza alla luce della conoscenza”. Beh, Thomas Edison sosteneva che “non c’è espediente che l’uomo non escogiterebbe pur di evitare la fatica di pensare”… occorre dunque essere sinceri: siamo fortemente tentati di rilevare i fatti che portano acqua al nostro mulino. Come disse André Maurois: “Tutto quello che corrisponde ai nostri desideri personali sembra vero. Tutto il resto ci fa rabbia”. Come procedere allora? Bisogna riuscire a ragionare senza emotività e come sosteneva il professor Hawkes, occorre esaminare “i fatti in modo imparziale e obiettivo”. Quando siamo ansiosi l’incombenza di pensare freddamente è quanto mai difficile: le emozioni la possono fare da padroni. Che fare? Dale Carnegie suggerisce alcune idee per individuare correttamente i fatti:
- “Quando cerco di stabilire i fatti faccio come se quelle notizie dovessi assumerle non per me, ma per terze persone. Ciò mi aiuta a vedere le cose in maniera fredda e distaccata, a liberarmi da qualsiasi influenza emotiva.”
- “Quando cerco di raccogliere gli elementi inerenti al problema che mi sta a cuore, fingo di essere un avvocato che si sta preparando a sostenere la tesi opposta. In altre parole, cerco di stabilire tutti i fatti che mi sono contrari e che preferirei trascurare.”
Il passo successivo è quello di mettere per iscritto tutta la faccenda: l’esperienza ha insegnato all’autore che riesce più facile analizzare i fatti dopo averli messi per iscritto. “Anche il semplice esporli su un foglietto di carta – suggerisce l’autore – cercando di essere chiari nell’esposizione, ci permette di fare un passo avanti al fine di prendere una decisione”. Citando Charles Kettering: “Un problema bene impostato è già mezzo risolto”. A questo punto Dale Carnegie, consapevole della forza esplicativa degli esempi concreti della vita, per mostrarci come si può applicare questo metodo, racconta il caso di Galen Litchfield, un suo conoscente americano, accaduto quando questi si trovava a Shangai nel 1942, dove dirigeva la sede locale della Asia Life Insurance Company. In quell’anno, poco dopo Pearl Harbour, i giapponesi invasero la città e Litchfield racconta che gli mandarono un ammiraglio come “liquidatore militare”, ordinandogli di collaborare con lui nella liquidazione del patrimonio di quella sede aziendale. Non aveva alternative, in quanto la scelta di non collaborare avrebbe significato per lui una morte certa. Così si rassegnò a collaborare. Ma – racconta Litchfield – ci fu una partita di crediti per un ammontare di 750.000 dollari che egli non incluse nell’elenco degli attivi che consegnò all’ammiraglio. Il motivo era dovuto al fatto che questa partita apparteneva alla loro succursale di Hong Kong e non aveva nulla a che fare con la sede di Shangai. Tuttavia egli temeva che i giapponesi scoprissero quest’omissione e di trovarsi nei guai. Cosa che poi malauguratamente successe.
Litchfield racconta che quando i giapponesi scoprirono il fatto, non era presente in ufficio e l’ammiraglio andò su tutte le furie, accusandolo di aver osato sfidare l’esercito giapponese. Aveva assistito alla scena il capocontabile, che glielo aveva riferito una domenica pomeriggio. A questo punto Litchfield, come era solito fare ormai da anni quando qualche preoccupazione lo tormentava, rientrò nella sua stanza, si sedette alla macchina da scrivere e incominciò a mettere per iscritto due domande e le relative risposte:
- Per quale motivo mi sto tormentando?
Rispose: “Mi spaventa l’idea di trovarmi domattina alla Bridgehouse”. Era la camera di tortura della Gestapo giapponese: alcuni suoi amici si erano suicidati, preferendo la morte piuttosto che finire lì dentro.
- Cosa mi resta da fare?
Litchfield racconta: “Impiegai delle ore a studiare e buttar giù le quattro maniere in cui avrei potuto comportarmi, e quali sarebbero state le conseguenze per ciascuna di esse.
- Posso cercare di arrivare a una chiarificazione con l’ammiraglio giapponese. Ma lui non sa una parola d’inglese e io ignoro la sua lingua. Se mi avvalgo d’un interprete, potrei indispettirlo ancora di più. Questo avrebbe voluto dire la morte; conoscevo bene la sua ferocia, avrebbe preferito sbattermi subito dentro la Bridgehouse piuttosto di darsi il fastidio di starmi a sentire.
- Posso cercare di scappare. Impossibile. Mi pedinano costantemente. Sono libero di muovermi soltanto dentro la mia stanza della residenza. Se cerco di scappare, quasi certamente mi beccano e mi mettono al muro.
- Posso rimanere qui e non farmi vedere in ufficio. Se lo faccio, desterò i sospetti dell’ammiraglio giapponese che manderà dei soldati ad arrestarmi e mi sbatteranno alla Bridgehouse senza darmi la possibilità di difendermi.
- Posso andare in ufficio come al solito, lunedì mattina. Se lo faccio, c’è anche la probabilità che l’ammiraglio sia così occupato da non ricordarsi di me, né di quel che ho fatto. Anche nel caso che non se ne sia dimenticato, può darsi che si sia calmato e mi lasci stare. Se così è, sono salvo. Anche se non lascia correre, ho sempre la possibilità di giustificarmi. Così, andando in ufficio come se niente fosse accaduto, ho due possibilità di farla franca”.
Litchfield racconta che non appena terminò il ragionamento e prese una decisione, si sentì immensamente sollevato. Quando la mattina seguente arrivò in ufficio, trovò l’ammiraglio giapponese lì seduto, che lo fissò – come era sua abitudine – e non disse nulla. Dopo sei settimane fece ritorno a Tokyo e le sue ansie erano terminate. Litchfield sostiene che l’aver messo nero su bianco i vari passi che avrebbe potuto seguire e le eventuali conseguenze lo aiutarono a prendere la migliore decisione, mettendolo al riparo dal commettere gravi errori a causa della precipitazione.
Galen Litchfield è stato uno dei più importanti uomini d’affari americani in Asia e confessò a Dale Carnegie che gran parte del suo successo era dovuto al suo metodo di analizzare i problemi con l’obiettivo di superarli. Un metodo concreto che cerca di andare al nocciolo delle questioni e che si impernia su una regola fondamentale: Agisci.
Perché non applicarlo a qualcuna delle preoccupazioni che ci assillano?
Prendere foglio e penna e scrivere:
Domanda n.1 – Per quale motivo mi sto preoccupando?
Domanda n.2 – Che cosa mi resta da fare?
Domanda n.3 – Cosa farò?
Domanda n.4 – Quando comincerò ad agire?
Rispondere per iscritto alle quattro domande.