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Il management è l’arte di prendere decisioni sulla base di informazioni insufficienti. (Roy Rowan)

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prendere decisioni
sulla base di informazioni
insufficienti. (Roy Rowan)

Disoccupazione, il baratro giovanile del primo impiego

di Lidia Baratta
685mila i giovani senza lavoro. Gi Group: il 44% delle aziende userà di più i contratti a termine
Continua a salire il tasso di disoccupazione. E a perdere il lavoro sono soprattutto coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato a tempo pieno, mentre per i giovani l’ingresso nel mercato nel lavoro sembra quasi una missione impossibile. Nei primi tre mesi del 2014, l’Istat ha registrato l’undicesimo trimestre consecutivo di crescita del numero dei senza lavoro.

Gli italiani senza un impiego e in cerca di una occupazione sono ad oggi 3 milioni e 216mila, in diminuzione dello 0,4% rispetto al mese precedente, ma in aumento del 4,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto quota 12,6%, il massimo dal 1977, cioè dall’inizio delle rilevazioni trimestrali dell’Istat. In salita, anche la disoccupazione giovanile (15-24 anni): 43,3% (dato destagionalizzato) nel mese di aprile 2014, pari al 46% (dato non destagionalizzato) nella media dei primi tre mesi del 2014. Quello che preoccupa è anche il numero di giovani inattivi (che non studiano e non lavorano), pari a 4 milioni 405mila, nonostante su base annua l’Istat riscontri una riduzione dello 0,2 per cento.
Calano i contratti a tempo indeterminato
Non si arresta il calo degli occupati a tempo pieno (-1,4% rispetto al primo trimestre 2013), che in più di sei casi su dieci riguarda dipendenti a tempo indeterminato. Aumentano invece gli occupati a tempo parziale (+1,1%), anche se la crescita riguarda esclusivamente i part time involontari, cioè coloro che un lavoro full time lo vorrebbero pure ma che non riescono a ottenerlo. Scende anche il lavoro a termine per il quinto trimestre consecutivo (-3,1%), così come per il sesto trimestre si riducono pure i collaboratori (-5,5%), soprattutto nella sanità e nel commercio.
Costruzioni a picco, il baratro del Mezzogiorno
Per quanto riguarda i diversi settori economici, rispetto a un anno prima diminuiscono gli occupati in agricoltura (-36mila unità), soprattutto nel Mezzogiorno. Nell’industria rallenta il calo degli occupati, mentre prosegue la flessione degli occupati nelle costruzioni, in particolar modo dei lavoratori dipendenti. L’occupazione si riduce su base annua anche nel terziario, principalmente nel commercio e nei servizi di credito e assicurazioni.
A risentire della riduzione dei posti di lavoro è soprattutto il Mezzogiorno, dove nel primo trimestre del 2014 il numero di occupati è diminuito di 170mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Al Sud la crescita su base annua del tasso di disoccupazione rimane più accentuata, passando dal 20,1% del primo trimestre 2013 all’attuale 21,7%; nel Centro è cresciuta dall’11,3% di un anno prima al 12,3%, nel Nord dal 9,2 al 9,5 per cento. Calano anche gli occupati stranieri, anche se in maniera più contenuta rispetto agli italiani (-122mila contro -199mila unità).
La difficoltà del primo impiego
La crescita dei disoccupati interessa soprattutto le persone in cerca del primo impiego, tra i 15 e i 34 anni (+15,2%, pari a 127mila unità in più rispetto al primo trimestre 2013).
Nella classe tra 15 e 24 anni, il numero delle persone in cerca di occupazione raggiunge 739mila unità (+43mila rispetto al primo trimestre 2013). Il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni nella media dei primi tre mesi del 2014 sale addirittura al 46% (dato non destagionalizzato). E nelle regioni del Mezzogiorno raggiunge il picco del 60,9%, pari a 347mila unità.
L’aumento delle persone in cerca di lavoro, però, riguarda anche i disoccupati che un lavoro prima ce l’avevano e per oltre tre quarti riguarda persone che hanno almeno 35 anni. In salita pure la percentuale dei disoccupati di lunga durata, che hanno perso il lavoro da più di dodici mesi e che in questo periodo non sono riusciti a trovarne un altro.
Le intenzioni delle aziende dopo il decreto Poletti
Uno degli obiettivi del decreto Poletti, da poco convertito in legge, è proprio quello di facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro con la riforma dei contratti a termine e dell’apprendistato: sui contratti a termine è stata introdotta l’acausalità e la possibilità di rinnovarli non più di 5 volte entro un limite massimo di 36 mesi e con un tetto di non oltre il 20% rispetto al totale dei lavoratori; sugli apprendistati, la quota del 20% di rapporti che le aziende devono trasformare in assunzioni prima di procedere con nuovi apprendistati resta solo per le aziende con più di 50 dipendenti.
Se il decreto servirà a far registrare una riduzione nella prossima serie trimestrale diffusa da Istat, è ancora presto per dirlo. L’agenzia per il lavoro Gi Group, intanto, ha interrogato un campione di 300 aziende per capire come e se intendano ricorrere a specifiche tipologie contrattuali a fronte delle novità introdotte dal decreto. «Nel corso del prossimo anno la maggior parte delle imprese non effettuerà grandi cambiamenti nel ricorso alle diverse forme contrattuali per l’inserimento di nuovo personale», dicono da Gi Group. Ma tra quelle che hanno dichiarato future variazioni, si registra un aumento del contratto a tempo determinato per il 44% dei rispondenti, dell’apprendistato per il 29,3%, dei tirocini per il 26,6% e della somministrazione a tempo determinato per il 24,2 per cento. Prevista invece per il 23% degli intervistati una riduzione netta del contratto a progetto e delle partite Iva e del contratto a tempo indeterminato.
I dati europei
Rispetto ai dati italiani sulla disoccupazione, secondo i dati Eurostat appena pubblicati l’Eurozona è in controtendenza con un lieve calo del tasso di disoccupazione che ad aprile è passato all’11,7% dall’11,8% di marzo. Un anno prima era al 12 per cento. Nella Ue è passato invece al 10,4% da 10,5% a marzo; un anno prima era al 10,9 per cento. Rispetto a marzo i disoccupati sono 151mila in meno nella Ue e 76mila nell’Eurozona: calati in un anno prima rispettivamente di 1,167 milioni e 487mila.

Tratto da Linkiesta

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