di David Stockman
Il 15 Settembre 2008 è stato il giorno in cui la Lehman è morta e le banche centrali del mondo sono andate all-in guidate dalla FED. E’ stato un tuffo epocale nella deformazione monetaria più pericolosa che il mondo abbia mai visto.
In quel momento era in atto una liquidazione di quel che rimaneva dei mercati dei capitali. Una pulizia dal marciume speculativo che si era accumulato durante l’era Greenspan. Ma la falsa depressione sbandierata dall’accolito della FED, Ben Bernanke, non ha lasciato operare questa pulizia. Lo zio Ben sventolava il feticcio di una’imminente Grande Depressione 2.0 — mandando nel panico Washington, Wall Street e il resto del mondo.
Il giorno successivo AIG sembrava come Ground Zero — il luogo in cui è stato confezionato l’intero “contagio” sistemico. In verità AIG non era portatrice di un misterioso contagio finanziario che era arrivato da una cometa dello spazio profondo.
di Max Parisi
Straordinaria analisi scritta da una delle più brillanti menti economiche mondiali.
Leggiamo.
“Secondo i dati economici più recenti, sia gli Stati uniti che l’Europa stanno mostrando segnali di ripresa, anche se è presto per dichiarare la fine dalla crisi. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea, il Pil pro capite è ancora inferiore al periodo precedente la crisi: un intero decennio perduto. Dietro alle fredde statistiche, ci sono vite rovinate, sogni svaniti e famiglie andate a pezzi (o mai formatesi), un futuro quanto mai precario per le generazioni più giovani, mentre la stagnazione – in Grecia la depressione – avanza anno dopo anno.
Prima della crisi, la maggior parte degli stati europei aveva persino economie ben funzionanti. In alcuni paesi, la produttività oraria – o il suo tasso di crescita – era tra le più alte del mondo. Ma l’Europa non è una vittima di errori altrui, come spesso si legge.
Certo, l’America ha mal gestito la propria economia, ma il malessere dell’Ue è in massima parte auto-inflitto, a causa di una lunga serie di pessime decisioni di politica economica, a partire dalla creazione dell’euro. Sebbene l’intento sia stato quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa: i paesi più deboli (quelli che già nel 1980 in un lavoro per l’Ocse, Fuà individuava nei paesi europei di più recente sviluppo – tutti con alta inflazione, dualismo territoriale, deficit della bilancia dei pagamenti e di bilancio pubblico, alta disoccupazione e notevole quota di economia sommersa — e che ora sono con malcelata arroganza identificati come Piigs) sono riusciti, per ora, a rimanere nell’euro a prezzo di disoccupazione e deflazione salariale, crollo della domanda interna e aumento del “sommerso”.
In assenza della volontà politica di creare istituzioni in grado di far funzionare una moneta unica — innanzi tutto una politica fiscale unica — nuovi danni si aggiungeranno ai danni già prodotti. Gli squilibri in Europa sono aggravati dalla divergenza nelle esportazioni nette, e solo una politica fiscale comune può far in modo che i flussi commerciali del Portogallo verso l’Olanda abbiano la stessa importanza (cioè nulla) di quelli, ad esempio, dell’Oregon verso il Missouri o del Brandeburgo verso la Baviera.
La Grande Recessione deriva in parte dalla convinzione che il liberismo di mercato avrebbe riportato le economie su di un sentiero di crescita “adeguato”. Tali speranze si sono rivelate sbagliate non perché i paesi dell’Ue non sono riusciti a realizzare le politiche prescritte, ma perché i modelli su cui hanno poggiato quelle politiche sono gravemente viziati.
In Grecia, ad esempio, le misure intese a ridurre il peso debitorio hanno di fatto lasciato il paese più indebitato di quanto non fosse nel 2010: il rapporto debito-Pil è aumentato a causa dello schiacciante impatto dell’austerità fiscale sulla produzione. Il Fondo monetario internazionale ha ammesso questi fallimenti politici e intellettuali. Verrà anche il giorno in cui anche la Troika riconoscerà il fallimento delle politiche di austerità e della teoria che l’hanno ispirate. A noi non resta che continuare ad impegnarci perché questo avvenga il prima possibile risparmiando inutili sofferenze ai popoli dell’Europa.
I leader europei restano convinti che la priorità debba essere la riforma strutturale. Ma i problemi che menzionano erano evidenti negli anni precedenti la crisi, e non avevano fermato la crescita allora. All’Europa serve più che una riforma strutturale all’interno dei paesi membri. All’Europa serve una riforma della struttura dell’eurozona stessa, e l’inversione delle politiche di austerity, che non sono riuscite a riaccendere la crescita economica.
Condividere una moneta unica costituisce ovviamente un problema poiché così facendo si rinuncia a due dei meccanismi di aggiustamento: i tassi d’interesse ed il cambio. Se si aderisce a una moneta unica, la rinuncia ad alcuni strumenti di politica economica può essere compensata sostituendoli però con qualcosa d’altro, come una politica fiscale comune e condivisione dei debiti, mentre ad oggi l’Europa non ha messo in campo altro che il Fiscal compact. Serve un cambiamento strutturale dell’Eurozona se si vuole che l’euro possa sopravvivere: o ci sarà l’Europa politica (Stati uniti d’Europa) o non ci sarà l’euro. Coloro che pensavano che l’euro non sarebbe potuto sopravvivere si sono ripetutamente sbagliati. Ma i critici hanno ragione su una cosa: a meno che non venga riformata la struttura dell’Eurozona, e fermata l’austerity, l’Europa non si riprenderà.
Il dramma dell’Europa è ben lungi dall’essere concluso. Uno dei punti forza dell’Ue è la vitalità delle sue democrazie. Ma l’euro ha lasciato i cittadini – soprattutto nei Paesi in crisi – senza voce in capitolo sul destino delle loro economie. Gli elettori hanno ripetutamente mandato a casa i politici al potere, scontenti della direzione dell’economia – ma alla fine il nuovo governo continua sullo stesso percorso dettato da Bruxelles, Francoforte e Berlino.
Ma per quanto tempo può durare questa situazione? E come reagiranno gli elettori? In tutta Europa, abbiamo assistito a un’allarmante crescita di partiti nazionalistici estremi, mentre in alcuni Paesi sono in ascesa forti movimenti separatisti. E potranno le economie dei paesi periferici sopravvivere ad una unione monetaria incompleta e asimmetrica?
Ora la Grecia sta ponendo un altro test all’Europa. Il calo del Pil greco dal 2010 è un fattore ben più grave di quello registrato dall’America durante la Grande Depressione degli anni ‘30. La disoccupazione giovanile è oltre il 50%. Il governo del primo ministro Alexis Tsipras ha ottenuto che venga abbandonato l’insano obiettivo – assunto dal precedente governo Samaras – di triplicare l’avanzo primario, anche recuperando parte dell’evasione fiscale. Forse Syriza aveva acceso aspettative diverse sul piano interno. Ma l’Europa tutta deve ora cogliere l’occasione greca per completare il disegno dell’euro.
Il problema non è la Grecia. È l’Europa. Se l’Europa non cambia – se non riforma l’Eurozona e continua con l’austerity – una forte reazione sarà inevitabile. Forse la Grecia ce la farà questa volta. Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. Ma quanta altra sofferenza dovrà sopportare l’Europa prima che torni a parlare la ragione?”
Articolo scritto da Joseph Stiglitz – Premio Nobel per l’Economia. Per il Time, una delle 100 menti più influenti del mondo.
Pubblicato dal sito online ilmanifesto.info – che ringraziamo.
Nota.
Chi è Joseph Stiglitz – tratto dal sito web della Columbia University.
Joseph E. Stiglitz was born in Gary, Indiana in 1943. A graduate of Amherst College, he received his PHD from MIT in 1967, became a full professor at Yale in 1970, and in 1979 was awarded the John Bates Clark Award, given biennially by the American Economic Association to the economist under 40 who has made the most significant contribution to the field. He has taught at Princeton, Stanford, MIT and was the Drummond Professor and a fellow of All Souls College, Oxford. He is now University Professor at Columbia University in New York, where he is also the founder and Co-President of the university’s Initiative for Policy Dialogue, and a member and former chair of its Committee on Global Thought. In 2001, he was awarded the Nobel Prize in economics for his analyses of markets with asymmetric information, and he was a lead author of the 1995 Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, which shared the 2007 Nobel Peace Prize. In 2011, Time named Stiglitz one of the 100 most influential people in the world. He is now serving as President of the International Economic Association.
Stiglitz was a member of the Council of Economic Advisers from 1993-95, during the Clinton administration, and served as CEA chairman from 1995-97. He then became Chief Economist and Senior Vice-President of the World Bank from 1997-2000. In 2008 he was asked by the French President Nicolas Sarkozy to chair the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, which released its final report in September 2009 (published as Mismeasuring Our Lives). He now chairs a High Level Expert Group at the OECD attempting to advance further these ideas. In 2009 he was appointed by the President of the United Nations General Assembly as chair of the Commission of Experts on Reform of the International Financial and Monetary System, which also released its report in September 2009 (published as The Stiglitz Report). Since the crisis, he has played an important role in the creation of the Institute for New Economic Thinking (INET), which seeks to reform the discipline so it is better equipped to find solutions for the great challenges of the 21st century.
Tratto da http://www.ilnord.it/