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Il management è l’arte di prendere decisioni sulla base di informazioni insufficienti. (Roy Rowan)

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Il management è l’arte di
prendere decisioni
sulla base di informazioni
insufficienti. (Roy Rowan)

Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz…

di David Stockman
Il 15 Settembre 2008 è stato il giorno in cui la Lehman è morta e le banche centrali del mondo sono andate all-in guidate dalla FED. E’ stato un tuffo epocale nella deformazione monetaria più pericolosa che il mondo abbia mai visto.
In quel momento era in atto una liquidazione di quel che rimaneva dei mercati dei capitali. Una pulizia dal marciume speculativo che si era accumulato durante l’era Greenspan. Ma la falsa depressione sbandierata dall’accolito della FED, Ben Bernanke, non ha lasciato operare questa pulizia. Lo zio Ben sventolava il feticcio di una’imminente Grande Depressione 2.0 — mandando nel panico Washington, Wall Street e il resto del mondo.
Il giorno successivo AIG sembrava come Ground Zero — il luogo in cui è stato confezionato l’intero “contagio” sistemico. In verità AIG non era portatrice di un misterioso contagio finanziario che era arrivato da una cometa dello spazio profondo.
di Max Parisi

Straordinaria analisi scritta da una delle più brillanti menti economiche mondiali.
Leggiamo.
“Secondo i dati eco­no­mici più recenti, sia gli Stati uniti che l’Europa stanno mostrando segnali di ripresa, anche se è pre­sto per dichia­rare la fine dalla crisi. Nella mag­gior parte dei paesi dell’Unione euro­pea, il Pil pro capite è ancora infe­riore al periodo pre­ce­dente la crisi: un intero decen­nio per­duto. Die­tro alle fredde sta­ti­sti­che, ci sono vite rovi­nate, sogni sva­niti e fami­glie andate a pezzi (o mai for­ma­tesi), un futuro quanto mai pre­ca­rio per le gene­ra­zioni più gio­vani, men­tre la sta­gna­zione – in Gre­cia la depres­sione – avanza anno dopo anno.
Prima della crisi, la mag­gior parte degli stati europei aveva per­sino eco­no­mie ben fun­zio­nanti. In alcuni paesi, la pro­dut­ti­vità ora­ria – o il suo tasso di cre­scita – era tra le più alte del mondo. Ma l’Europa non è una vit­tima di errori altrui, come spesso si legge.
Certo, l’America ha mal gestito la pro­pria eco­no­mia, ma il males­sere dell’Ue è in mas­sima parte auto-inflitto, a causa di una lunga serie di pes­sime deci­sioni di poli­tica eco­no­mica, a par­tire dalla crea­zione dell’euro. Seb­bene l’intento sia stato quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa: i paesi più deboli (quelli che già nel 1980 in un lavoro per l’Ocse, Fuà indi­vi­duava nei paesi euro­pei di più recente svi­luppo – tutti con alta infla­zione, dua­li­smo ter­ri­to­riale, defi­cit della bilan­cia dei paga­menti e di bilan­cio pub­blico, alta disoc­cu­pa­zione e note­vole quota di eco­no­mia som­mersa — e che ora sono con mal­ce­lata arro­ganza iden­ti­fi­cati come Piigs) sono riu­sciti, per ora, a rima­nere nell’euro a prezzo di disoc­cu­pa­zione e defla­zione sala­riale, crollo della domanda interna e aumento del “sommerso”.
In assenza della volontà poli­tica di creare isti­tu­zioni in grado di far fun­zio­nare una moneta unica — innanzi tutto una poli­tica fiscale unica — nuovi danni si aggiun­ge­ranno ai danni già pro­dotti. Gli squi­li­bri in Europa sono aggra­vati dalla diver­genza nelle espor­ta­zioni nette, e solo una poli­tica fiscale comune può far in modo che i flussi com­mer­ciali del Por­to­gallo verso l’Olanda abbiano la stessa impor­tanza (cioè nulla) di quelli, ad esem­pio, dell’Oregon verso il Mis­souri o del Bran­de­burgo verso la Baviera.
La Grande Reces­sione deriva in parte dalla con­vin­zione che il libe­ri­smo di mer­cato avrebbe ripor­tato le eco­no­mie su di un sen­tiero di cre­scita “ade­guato”. Tali spe­ranze si sono rive­late sba­gliate non per­ché i paesi dell’Ue non sono riu­sciti a rea­liz­zare le poli­ti­che pre­scritte, ma per­ché i modelli su cui hanno pog­giato quelle poli­ti­che sono gra­ve­mente viziati.
In Gre­cia, ad esem­pio, le misure intese a ridurre il peso debi­to­rio hanno di fatto lasciato il paese più inde­bi­tato di quanto non fosse nel 2010: il rap­porto debito-Pil è aumen­tato a causa dello schiac­ciante impatto dell’austerità fiscale sulla pro­du­zione. Il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale ha ammesso que­sti fal­li­menti poli­tici e intel­let­tuali. Verrà anche il giorno in cui anche la Troika rico­no­scerà il fal­li­mento delle poli­ti­che di auste­rità e della teo­ria che l’hanno ispi­rate. A noi non resta che con­ti­nuare ad impe­gnarci per­ché que­sto avvenga il prima pos­si­bile rispar­miando inu­tili sof­fe­renze ai popoli dell’Europa.
I lea­der euro­pei restano con­vinti che la prio­rità debba essere la riforma strut­tu­rale. Ma i pro­blemi che men­zio­nano erano evi­denti negli anni pre­ce­denti la crisi, e non ave­vano fer­mato la cre­scita allora. All’Europa serve più che una riforma strut­tu­rale all’interno dei paesi mem­bri. All’Europa serve una riforma della strut­tura dell’eurozona stessa, e l’inversione delle poli­ti­che di auste­rity, che non sono riu­scite a riac­cen­dere la cre­scita economica.
Con­di­vi­dere una moneta unica costi­tui­sce ovvia­mente un pro­blema poi­ché così facendo si rinun­cia a due dei mec­ca­ni­smi di aggiu­sta­mento: i tassi d’interesse ed il cam­bio. Se si ade­ri­sce a una moneta unica, la rinun­cia ad alcuni stru­menti di poli­tica eco­no­mica può essere com­pen­sata sosti­tuen­doli però con qual­cosa d’altro, come una poli­tica fiscale comune e con­di­vi­sione dei debiti, men­tre ad oggi l’Europa non ha messo in campo altro che il Fiscal com­pact. Serve un cam­bia­mento strut­tu­rale dell’Eurozona se si vuole che l’euro possa soprav­vi­vere: o ci sarà l’Europa poli­tica (Stati uniti d’Europa) o non ci sarà l’euro. Coloro che pen­sa­vano che l’euro non sarebbe potuto soprav­vi­vere si sono ripe­tu­ta­mente sba­gliati. Ma i cri­tici hanno ragione su una cosa: a meno che non venga rifor­mata la strut­tura dell’Eurozona, e fer­mata l’austerity, l’Europa non si riprenderà.
Il dramma dell’Europa è ben lungi dall’essere con­cluso. Uno dei punti forza dell’Ue è la vita­lità delle sue demo­cra­zie. Ma l’euro ha lasciato i cit­ta­dini – soprat­tutto nei Paesi in crisi – senza voce in capi­tolo sul destino delle loro eco­no­mie. Gli elet­tori hanno ripe­tu­ta­mente man­dato a casa i poli­tici al potere, scon­tenti della dire­zione dell’economia – ma alla fine il nuovo governo con­ti­nua sullo stesso per­corso det­tato da Bru­xel­les, Fran­co­forte e Berlino.
Ma per quanto tempo può durare que­sta situa­zione? E come rea­gi­ranno gli elet­tori? In tutta Europa, abbiamo assi­stito a un’allarmante cre­scita di par­titi nazio­na­li­stici estremi, men­tre in alcuni Paesi sono in ascesa forti movi­menti sepa­ra­ti­sti. E potranno le eco­no­mie dei paesi peri­fe­rici soprav­vi­vere ad una unione mone­ta­ria incom­pleta e asimmetrica?
Ora la Gre­cia sta ponendo un altro test all’Europa. Il calo del Pil greco dal 2010 è un fat­tore ben più grave di quello regi­strato dall’America durante la Grande Depres­sione degli anni ‘30. La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile è oltre il 50%. Il governo del primo mini­stro Ale­xis Tsi­pras ha otte­nuto che venga abban­do­nato l’insano obiet­tivo – assunto dal pre­ce­dente governo Sama­ras – di tri­pli­care l’avanzo pri­ma­rio, anche recu­pe­rando parte dell’evasione fiscale. Forse Syriza aveva acceso aspet­ta­tive diverse sul piano interno. Ma l’Europa tutta deve ora cogliere l’occasione greca per com­ple­tare il dise­gno dell’euro.
Il pro­blema non è la Gre­cia. È l’Europa. Se l’Europa non cam­bia – se non riforma l’Eurozona e con­ti­nua con l’austerity – una forte rea­zione sarà ine­vi­ta­bile. Forse la Gre­cia ce la farà que­sta volta. Ma que­sta fol­lia eco­no­mica non potrà con­ti­nuare per sem­pre. La demo­cra­zia non lo per­met­terà. Ma quanta altra sof­fe­renza dovrà sop­por­tare l’Europa prima che torni a par­lare la ragione?”
Articolo scritto da Joseph Stiglitz – Premio Nobel per l’Economia. Per il Time, una delle 100 menti più influenti del mondo.
Pubblicato dal sito online ilmanifesto.info – che ringraziamo.
Nota.
Chi è Joseph Stiglitz – tratto dal sito web della Columbia University.
Joseph E. Stiglitz was born in Gary, Indiana in 1943. A graduate of Amherst College, he received his PHD from MIT in 1967, became a full professor at Yale in 1970, and in 1979 was awarded the John Bates Clark Award, given biennially by the American Economic Association to the economist under 40 who has made the most significant contribution to the field. He has taught at Princeton, Stanford, MIT and was the Drummond Professor and a fellow of All Souls College, Oxford. He is now University Professor at Columbia University in New York, where he is also the founder and Co-President of the university’s Initiative for Policy Dialogue, and a member and former chair of its Committee on Global Thought. In 2001, he was awarded the Nobel Prize in economics for his analyses of markets with asymmetric information, and he was a lead author of the 1995 Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, which shared the 2007 Nobel Peace Prize. In 2011, Time named Stiglitz one of the 100 most influential people in the world. He is now serving as President of the International Economic Association.
Stiglitz was a member of the Council of Economic Advisers from 1993-95, during the Clinton administration, and served as CEA chairman from 1995-97. He then became Chief Economist and Senior Vice-President of the World Bank from 1997-2000. In 2008 he was asked by the French President Nicolas Sarkozy to chair the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, which released its final report in September 2009 (published as Mismeasuring Our Lives). He now chairs a High Level Expert Group at the OECD attempting to advance further these ideas. In 2009 he was appointed by the President of the United Nations General Assembly as chair of the Commission of Experts on Reform of the International Financial and Monetary System, which also released its report in September 2009 (published as The Stiglitz Report). Since the crisis, he has played an important role in the creation of the Institute for New Economic Thinking (INET), which seeks to reform the discipline so it is better equipped to find solutions for the great challenges of the 21st century.

Tratto da http://www.ilnord.it/

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