di Claudio Malossi
Quando un’azienda inserisce nuovi candidati nel proprio organico di fatto sceglie le persone che determineranno, in modo più o meno rilevante a seconda dei ruoli che ricopriranno, i successi o gli insuccessi dell’azienda stessa.
La maggior parte degli imprenditori ne è indubbiamente consapevole e pone grande attenzione al processo di selezione, dedicando tempo ed energie a questa attività. Spesso gli imprenditori stessi si impegnano in prima persona per i ruoli più importanti oppure, di volta in volta, coinvolgono le Risorse Umane e alcuni dei propri collaboratori più fidati per scegliere i candidati da inserire.
Il colloquio di selezione, però, è un passaggio molto delicato e non è detto che chi se ne occupa possegga gli strumenti adeguati per non incorrere in alcuni errori di valutazione che potrebbero portarlo verso scelte sbagliate.
Un errore classico, e ormai noto a tutti, consiste nel soffermarsi esclusivamente sulle competenze tecniche dei candidati trascurando invece altre competenze trasversali quali ad esempio la capacità di apprendimento, la capacità di gestire lo stress, l’attitudine a lavorare in team, il controllo, la tolleranza, le attitudini relazionali, la capacità di ascolto, la metodicità, la flessibilità, la creatività, il dinamismo, ecc. Molto frequentemente non si riconosce la giusta importanza alle caratteristiche comportamentali e al potenziale. Questi aspetti invece risultano fondamentali nel determinare i risultati che le persone che assumiamo potranno poi raggiungere.
Da metà anni 90 Daniel Goleman ci insegna che gli elementi che costituiscono la cosiddetta intelligenza emotiva sono quelli che probabilmente influenzano maggiormente la vita dell’uomo. Queste capacità però erano, e in gran parte sono tutt’ora, sottovalutate, ignorate o non considerate dai selezionatori inesperti come elemento rilevante. Inoltre anche gran parte di quelli che ne riconoscono l’importanza non posseggono gli strumenti adeguati per valutarle oggettivamente e quindi cercano di individuarle in modo empirico durante il colloquio, spesso con risultati contrastanti.
Partiamo dal presupposto che il ruolo dell’intervistatore è indubbiamente difficile. L’attività di chi ascolta richiede un atteggiamento tutt’altro che passivo nei confronti dell’interlocutore, tuttavia il fatto che l’intervistatore segua il discorso del candidato con attenzione non significa che acquisisca ed accetti ogni idea/opinione/descrizione espressa, senza esercitare un minimo di attività critica.
Si può affermare, anzi, che l’ascolto e l’osservazione sono in funzione dell’analisi critica dei contenuti e della relazione, intendendo con i primi i temi trattati nel discorso e con la seconda le modalità di espressione e di comunicazione interpersonale. In alcune interviste, però, si incontrano persone che appaiono molto convincenti, che cioè portano l’intervistatore ad un atteggiamento di accettazione acritica e di condivisione globale. Questa ipotesi si rileva più frequente di quanto si creda e dà luogo a quello che noi definiamo “effetto specchio”, ovvero un comportamento di scelta basato sulla maggiore affinità tra esaminatore ed intervistato. Il rapporto che si instaura tra il selezionatore e il candidato potrebbe dunque diventare più emotivo che professionale comportando la perdita di capacità di giudizio e osservazione critica. Questa è una situazione in cui anche un selezionatore con anni di esperienza potrebbe invischiarsi.
Sia per ovviare a questo problema, ma soprattutto per ricavare un analisi oggettivamente attendibile delle caratteristiche comportamentali dei candidati, noi utilizziamo una metodologia efficace e collaudata. Essa prevede inizialmente la somministrazione al candidato di un test sul potenziale che produce un quadro molto dettagliato di 10 dimensioni della sfera comportamentale della persona e di 4 dimensioni della sfera professionale. A seguire organizziamo un colloquio strutturato in cui parte delle domande che poniamo sono correlate alle risultanze del precedente test. In questo modo troviamo spesso la conferma oppure, più raramente, anche la parziale smentita di quanto rilevato. Tutto il processo è estremamente consolidato e impostato per evitare che l’intervistatore si ritrovi involontariamente trascinato a giudicare sulla base dell’emotività ma riesca bensì ad individuare con ragionevole certezza la persona giusta.
Proviamo a calcolare quanto costa ad un’azienda l’inserimento di una persona non adeguata che probabilmente non garantirà il rendimento atteso o che addirittura dovrà essere sostituita. Siamo sicuri che sia sano ostinarsi a risparmiare sulle attività di recruiting?
C’è un vecchio detto che dice “chi più spende meno spende”. Ecco, credo che un investimento oculato da parte delle aziende verso un’attività di ricerca e selezione del personale gestita in modo professionale confermi appieno la validità di questo proverbio.