Il mondo del lavoro sta radicalmente mutando grazie alla massiccia digitalizzazione che sembra invaderne ogni più remoto angolo.
L’avvicendamento tra uomini, robotica e tecnologia non è più uno scenario fantascientifico alla “Blade Runner”, dove gruppi di robot vengono mandati sulla terra per svolgere quei difficili lavori che sembrano essere fuori dalla portata umana.
Un simile scenario oggi non è un’utopia alla “1984” di Orwell e la presenza di un’etichetta che suona come “Industria 5.0” segnala questa nuova comprovata realtà.
L’integrazione tra uomo e robot dà adito alle più svariate discussioni, la cui principale vede esperti e non domandarsi se e in che modo l’impiego delle macchine sostituirà le attività umane.
Senza dipanare ulteriori questioni, è comprovato oramai che le macchine possono tranquillamente svolgere mansioni che fino ad ora sono state appannaggio umano. D’altro canto è veritiero anche che l’automazione dipende dall’uomo stesso. Qui risiede il punto focale su cui riflettere: integrazione, non competizione.
L’uomo dovrà adattarsi ed integrarsi a quei processi da lui stesso creati. Se in passato la presenza delle macchine è sempre stata concepita come mezzo per aumentare la produttività, oggi la digitalizzazione e la robotica servono per aprire nuove prospettive aziendali.
L’uomo continuerà ad essere primus e l’avvento dei robot lo dimostra: l’intelligenza che distingue i “knowdlege workers” non riscontra limiti ed è insuperabile.
Il lavoro umano può essere sostituito nelle sue parti produttive, ma per ciò che concerne i processi decisionali e creativi?
I robot non hanno intuito, per natura privi di sentimento, senza empatia e soprattutto lavorano applicando sempre i medesimi metodi e questo li priva della capacità di adattamento di fronte a situazioni emergenziali.
Insomma, ci sono professioni che appariranno superflue ed altre in cui invece le abilità umane saranno sempre le predilette.
Come fidelizzare un cliente in un bistrot o in una concessionaria di automobili?
Le persone decidono di fermarsi in quel ristorante perché il cameriere è così accogliente da trasformare quel pranzo in un’esperienza da ricordare; allo stesso tempo l’acquisto di un auto è fortemente influenzata dal modello, quanto dal venditore che stimola l’interesse per quei sedili in pelle o per un impianto altamente tecnologico.
Anche qui la tecnologia sembra farsi strada e i chatbot alimentano i primi dubbi sul futuro di chi fa dell’assistenza al cliente il proprio lavoro. I sistemi di intelligenza artificiale assicurano la loro presenza e aiuto nel momento stesso in cui un problema si presenta al consumatore grazie a sistemi programmati codificati e capaci di formulare risposte verbali. Ma anche in questo caso l’efficienza dipende dalla complessità del problema a cui è necessario trovare risposta.
I bot non hanno né empatia né capacità di comunicazione: un cliente può avere necessità di ottenere chiarimenti circa procedimenti complessi o più semplicemente cerca rassicurazioni o conferme di fronte a banali dubbi.
Un programma di intelligenza artificiale può migliorare l’esperienza di acquisto, può ridurre i tempi di attesa e risolverne problematiche, ma il capitale umano, per natura, rimane insostituibile.
Sebbene in certe occasioni l’automazione dirige e organizza il lavoro umano, le macchine non possono essere antagoniste dell’uomo: l’intelligenza artificiale sembra essere un buon aiutante per ottimizzare processi lavorativi e non, ma l’euristica umana non ammette paragoni.Macchine e robot sono i prodotti di necessità umane, frutto di potentia innata non ripetibile in entità prive di humanitas.