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Il management è l’arte di prendere decisioni sulla base di informazioni insufficienti. (Roy Rowan)

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prendere decisioni
sulla base di informazioni
insufficienti. (Roy Rowan)

TEST DELLA PERSONALITA’: VALIDI O TAROCCHI?

Di Matteo Madonia

 

In questi anni sta crescendo a dismisura la popolarità dei test della personalità, reperibili ormai ovunque, anche sui social. Si tratta di test non cognitivi usati per identificare il profilo della personalità attraverso questionari a risposta singola o multipla. Molti di questi, nonostante la veste seriosa, hanno però la valenza del test “Scopri che verdura sei” su Facebook o altri mezzi acchiappa-click. Quella dei test sulla personalità è una dinamica molto simile a quella su cui si regge l’oroscopo e che ci porta a dire, una volta letto il risultato: “Ehi, ma sta parlando proprio di me!”. Il problema è che questo invalida la validità scientifica di un test autosomministrato, inficiando inevitabilmente il risultato. La lettura delle stelle, infatti, che in questi anni sta vivendo un grande revival, al pari di certi meme a tema e dei test della personalità, si basa su un meccanismo che personalizza una generalizzazione applicabile a chiunque. In realtà non c’è nessuna magia di fondo, è un fenomeno studiato in ambito psicologico che si chiama effetto Forer. Nulla di deleterio, se non fosse che questi test vengono anche usati per la valutazione degli individui in ambito professionale– tra assunzione e andamento lavorativo dei soggetti, compresi i licenziamenti – senza però avere alcuna base scientifica.

Negli anni Quaranta, lo psicologo Bertram Forer studiò una teoria basata sull’immedesimazione degli individui in un ritratto talmente generico da collettivizzare i tratti delle personalità analizzate. Come dimostrazione, nel 1948 Forer realizzò un test della personalità fasullo e lo consegnò ai suoi allievi. Loro non sapevano che, terminato il questionario, tutti avrebbero ottenuto lo stesso risultato, che Forer scrisse accuratamente servendosi di luoghi comuni, vaghezza e frasi che avrebbero condotto qualsiasi soggetto a riconoscersi nelle parole del testo, che alla fine fu questo: “Hai molto bisogno che gli altri ti apprezzino e ti stimino eppure hai una tendenza a essere critico nei confronti di te stesso. Pur avendo alcune debolezze nel carattere, sei generalmente in grado di porvi rimedio. Hai molte capacità inutilizzate che non hai volto a tuo vantaggio. Disciplinato e controllato all’esterno, tendi a essere preoccupato e insicuro dentro di te. A volte dubiti seriamente di aver preso la giusta decisione o di aver fatto la cosa giusta. Preferisci una certa dose di cambiamento e varietà e ti senti insoddisfatto se obbligato a restrizioni e limitazioni. Ti vanti di essere indipendente nelle tue idee e di non accettare le opinioni degli altri senza una prova che ti soddisfi. Ma hai scoperto che è imprudente essere troppo sinceri nel rivelarsi agli altri. A volte sei estroverso, affabile, socievole, mentre altre volte sei introverso, diffidente e riservato. Alcune delle tue aspirazioni tendono a essere davvero irrealistiche”. Ammettetelo: leggendo anche voi vi sarete riconosciuti nella maggior parte delle caratteristiche elencate, e così accadde agli alunni di Forer, che furono quindi portati a valutare positivamente l’efficacia del test. Il professore, infatti, chiese loro di valutarla su una scala da 0 a 5, e la media finale fu altissima: 4,26. In seguito, Forer rivelò la verità agli studenti, aggiungendo che per scrivere quel profilo “valido un po’ per tutti” aveva preso spunto proprio da una rivista di astrologia.

Se oggi quasi tutti sanno che l’effetto Forer è strettamente collegato all’oroscopo, non bisogna sottovalutare il legame altrettanto congiunto con i test della personalità, strumento tra l’altro usato per la dimostrazione della tesi del suo studioso. Sì, conosciamo il legame con il bias cognitivo di conferma, ma certe convinzioni non hanno ancora intaccato la credibilità di certi test che non hanno un valore scientifico certificato e che diversi esperti considerano al pari delle pseudoscienze. E no, non ci riferiamo soltanto al “Dimmi quando sei nata e ti dirò che principessa Disney sei”, ma anche al famoso MBTI (Myers Briggs Type Indicator) e ad altri test che spesso vengono usati durante i colloqui d’assunzione, ammantandosi di una credibilità che non hanno, nel momento in cui vengono “autosomministrati”, ovvero svolti senza la guida e la valutazione di un professionista.

Intanto c’è da fare una distinzione tra test obiettivi e test proiettivi. Quelli obiettivi sono test in cui il soggetto affronta stimoli strutturati sotto forma di domande, per arrivare a un risultato basato su un punteggio misurato con il sistema della scala Likert strumento psicometrico utilizzato per quantificare proprietà qualitative degli atteggiamenti complessivi dell’individuo – le cui unità di misura sono appunto aleatorie e riguardano percezioni o stati d’animo, valutate di solito in base alla soddisfazione o l’accordo, disaccordo con un’affermazione. Quelli proiettivi, invece, presentano al soggetto situazioni non strutturate o parzialmente strutturate ed esplorano il percorso psichico individuale. Il ramo dei test obiettivi, come si può facilmente immaginare, riguarda quelli maggiormente colpiti dall’effetto Forer. Tra questi il più famoso è probabilmente l’MBTI, ideato durante la seconda guerra mondiale e pubblicato per la prima volta nel 1962. Conosciuto anche come Test delle sedici personalità, la sua strutturazione si ispira agli studi di Carl Gustav Jung. Il più noto tra i test proiettivi è invece il Test di Rorschach – sì, “quello delle macchie” –, che ha tutt’altra valenza e viene usato in ambito clinico-psicopatologico, a differenza di quelli obiettivi, che vengono sconsigliati in questo campo.

Lasciamo da parte i test palesemente farlocchi presenti sul web e concentriamoci su quello più utilizzato in contesti professionali per l’assunzione del personale, ovvero l’ MBTI. Il test è composto da 93 domande e porta come risultato una polarizzazione del profilo caratteriale su otto criteri: introverso o estroverso; sensitivo o intuitivo; razionale o emotivo; giudicante o percettivo. Già qui è presente il primo limite: non ci sono zone grigie. Un individuo con un punteggio di poco nei limiti della razionalità è probabile che abbia dato risposte simili a quelle di un altro soggetto finito nella categoria dell’emotività per pochi punti. Altre pecche sono state individuate dallo psicologo Adam Grant, che ha pubblicato una ricerca su Psychology Today, nella quale spiega come circa il 75% dei partecipanti al test riceva un risultato diverso quando veniva testato di nuovo. Ovvero l’antitesi dell’affidabilità. Grant sostiene che l’MBTI sia così popolare per due motivi: il primo è perché sono stati investiti soldi e tempo per realizzarlo e aggiornarlo e quindi le persone si aggrappano all’autorità percepita come se fosse automaticamente sinonimo di efficacia; il secondo è l’effetto sorpresa quando se ne leggono i risultati, ovvero l’effetto Forer che porta le persone a riconoscersi in un profilo vago, spesso venendo sedotte dall’immagine di un proprio sé ideale. Conclude Grant: “Anche le letture del palmo della mano e gli oroscopi possono generare spunti di riflessione. Ciò non significa che dovremmo utilizzarli in ambito lavorativo”.

Uno dei problemi connessi a questo strumento, come citato in precedenza, è appunto che test come l’MBTI vengono usati proprio per i colloqui d’assunzione e, in seguito, per valutare il personale. Guido Sarchielli, professore emerito all’Università di Psicologia di Bologna, ha scritto su Psicologia Contemporanea: “Per quanto riguarda i test di personalità è ormai noto che hanno una bassa attendibilità, anche per la presenza, in molti casi, di facilità d’inganno”. Sarchielli ha poi fatto riferimento al loro uso in ambito lavorativo, spiegando come siano molto più utili e importanti “test su abilità cognitive, interviste strutturate, test di integrità, uso di misure multiple come negli assessment centers e campioni di lavoro (work sampling)”. Anche Gregory Boyle, professore della Bond University, ha scritto su Australian Psychologist un articolo in cui vengono elencati gli elementi di inaffidabilità dell’MBTI, definiti “gravi limiti”, chiedendo di non utilizzarlo né nelle aziende né in ambito psicoterapeutico, in quanto sarebbe un “uso improprio”.

Merve Emre, professoressa della McGill University di Montréal, ha scritto un saggio dal titolo The Personality Brokers nel quale viene spiegata l’inappropriatezza di questi test in campo lavorativo. Emre cita multinazionali come General Electric e Standard Oil tra le realtà che usano l’MBTI per la selezione, la promozione o il licenziamento del personale, ma anche diversi college elitari e uffici pubblici statunitensi e canadesi. Secondo le ultime statistiche, un quinto delle aziende della Fortune 1000 – la classifica delle principali aziende statunitensi secondo la rivista Fortune – lo utilizza per il processo di assunzione e per il team building. Emre parla anche della possibilità di licenziamento in base ai risultati del test, che viene somministrato ai dipendenti nei periodi meno performanti per capire l’origine di determinate lacune (cosa del tutto senza senso essendoci strumenti ben più adatti a sondare questo genere di situazioni), pur non essendoci alcuna correlazione scientifica e pratica tra il risultato del test e le capacità nel proprio lavoro. Eppure, nel saggio vengono spiegate le dinamiche che portano i vertici aziendali a considerare un dipendente non più idoneo nel ricoprire una certa mansione in base al tipo di personalità ottenuto dall’MBTI, portandoli magari a un cambio di posizione (spesso un declassamento), o addirittura a un vero e proprio licenziamento. Ai 12 archetipi di Jung, infatti, che ispirarono questo test, oltre alle abilità positive, sono associati anche obiettivi e difetti. Così l’orfano è realista, ma anche cinico; il saggio è intelligente, ma tende all’inazione; il mago è vincente, ma egoista; e così via. Se una persona lavora come dipendente subordinato, allora, o deve lavorare in team, se appare “ribelle” e ha come obiettivo quello di “cambiare le norme” secondo questi tipi di test potrebbe non rivelarsi adatto al suo ruolo.

L’autrice racconta di come addirittura l’OSS (Office of Strategic Services), il precursore della CIA, avesse tentato di usare il test per reclutare i soggetti più idonei per la loro posizione. Si accorsero però subito di aver commesso un errore di valutazione e il motivo è lo stesso che ci porta ancora oggi a considerare inutile, o addirittura deleterio, l’uso del test in ambito lavorativo: i candidati non rispondevano al questionario pensando alla loro personalità, ma a quella che immaginavano fosse adatta al candidato perfetto. In poche parole: falsavano – e continuano a falsare involontariamente – il test. I soggetti sanno che le aziende richiedono certe caratteristiche e si adeguano spersonalizzando se stessi: così vengono nascoste le “insicurezze” o i tratti sociali poco confacenti a un lavoro, ad esempio, legato a responsabilità, decisionismo e controllo. Chi compila il questionario crea quindi il prototipo del lavoratore provetto, senza rispondere in base al suo reale carattere. Questo determina l’inattendibilità del test e conferma come sia rischioso per le stesse aziende stesse affidarsi a questo mezzo.

Eppure, l’MBTI e altri test del genere continuano a godere di una fama sempre più estesa, anche per la costruzione catchy della loro trasposizione online. Non ci sarebbe nessun problema, finché vengono usati come passatempo e con la consapevolezza della loro aleatorietà, il problema è che a volte sono usati per decidere le sorti di un dipendente da licenziare o meno. Sui siti dove è possibile farli, i risultati sono accompagnati da grafiche accattivanti e persino da paragoni con i profili psicologici di personaggi storici. Quindi il lettore si inorgoglisce quando scopre di essere nella stessa categoria caratteriale di Abramo Lincoln o di Marcel Proust, non importa se poi magari avessero tendenze istrioniche o antisociali. D’altronde è risaputo: tra una guerra di secessione e una madeleine, i due hanno sicuramente fatto lo stesso test di Mario Rossi sul web, risultando introversi e bisognosi d’affetto come lui.

Anche associare Jung a certi test è fuorviante. È vero che l’MBTI ha preso ispirazione dal suo libro del 1921 Tipi psicologici, ma lo stesso Jung al suo interno scriveva che “ogni individuo è un’eccezione alla regola” e che “non esiste un puro estroverso o un puro introverso”. Non è un caso se nessuna delle principali riviste di psicologia del mondo abbia pubblicato ricerche sul test e che la comunità scientifica si sia interessata prevalentemente per criticarne i limiti, come appurato sopra. Che poi, a dirla tutta, non è nemmeno il test in sé il problema, ma l’uso che se ne fa e il tentativo di aggrapparsi a un profilo psicologico fai-da-te che ci porta a fare valutazioni sulla nostra vita attraverso un meccanismo di conferma, una smodata ricerca di classificazione che possa incasellarci al confine tra ciò che siamo e ciò a cui aspiriamo essere, invece di intraprendere un percorso ben più sistematico, efficace e impegnativo di psicoterapia. A ingannare sono proprio le descrizioni volutamente lusinghiere nel risultato finale, parole che si riconducono all’effetto Forer e che compongono un algoritmo dell’identità in cui potersi riconoscere – perché il soggetto in molti casi cerca e ha bisogno di un’accettazione caratteriale all’interno del suo contesto sociale.

Anche l’astrologia o i tarocchi possono essere usati per la ricerca personale e magari  interiorizzare un processo di approfondimento di sé. Il problema è quando i meccanismi alla base di questi strumenti portano a un appiattimento della personalità, che non può essere certo analizzata attraverso uno strumento così rapido e grossolano come i test di cui abbiamo parlato. Anche io ho due occhi e due orecchie come Proust, ma non ho scritto la Recherche.

 

Di Matteo Madonia

(Tratto da The Vision – 03 ottobre 2022)

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