di Andrea Gerardi
Dal 1^ ottobre l’aliquota Iva ordinaria aumenterà dal 21% al 22% ponendo l’Italia tra i paesi con le più alte tassazioni indirette.
Per alcuni rappresenta una manovra economica che coltiva la tradizione della crisi, tendendo a schiacciare i consumi e le imprese, per altri una scelta inevitabile.
Fatto sta che i primi pronostici non delineano certamente un orizzonte migliore: stando alle previsioni del Codacons in un anno la riduzione dei consumi si aggirerà intorno al 3% e le famiglie italiane spenderanno tra i 207 euro e i 260 euro in più all’anno.
Senza considerare la conseguente perdita di produzione che alimenterebbe la paralisi occupazionale e produttiva in cui l’Italia giace ormai da tempo.
Paralisi non solo da intendersi in una dimensione economica ma al contrario che investe qualsiasi campo del paese.
I tagli alla cultura deprimono e uccidono la ricerca, basti pensare a quanti dottorati con borsa vengono erogati di questi tempi dalle Università. I concorsi pubblici idonei ai giovani neo-laureati con formazione giuridico-amministrativa , sono per la maggior parte di essi bloccati sintomo di un apparato pubblico statale ormai saturo.
E come non citare all’interno di questo scenario l’alto costo del lavoro il quale scoraggia la produzione in Italia a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime e conseguentemente le assunzioni in special modo nelle imprese medio-piccole.
E’ la strategia migliore cercare di stimolare e rigenerare un paese alla deriva con scelte che sembrerebbero, almeno nel breve periodo, ancora più distruttive?
Si parla della fine di un ventennio eppure il cambiamento è ancora così evidentemente sottile che non rende possibili slanci di entusiasmo.
E’ chiaro che soprattutto le nuove generazioni hanno ancora bisogno di prospettive e fiducia nella politica italiana nonostante i cattivi insegnamenti e i pessimi esempi, perché si questi sono pessimi esempi.
E’ disdicevole che un governo rimanga paralizzato e non riesca a lavorare per i suoi cittadini a causa di vicende giudiziarie di un individuo, chiunque esso sia, al punto di non poter più ascoltare lo stesso elettorato che incide sul suo destino.
Salutiamo allora questo ventennio che ha cambiato profondamente il volto dell’Italia, conservando la speranza che la tessera elettorale non sia solamente un altro retaggio del nostro apparato burocratico ma piuttosto uno strumento, forse l’unico, per poter scegliere coscienziosamente la classe dirigente che ci guiderà perché nessun governo si pone al potere autonomamente.
Con tutte le difficoltà che cittadini e imprese dovranno ancora affrontare e una piccola dose di autocritica bisogna andare avanti cercando di ricostruire delle solide basi per tutti che possano restituire quanto di più prezioso è venuto a mancare, stabilità e sicurezza, anche se fare la spesa ci costerà l’1% in più.